Percorso
Il sole della fede
Discorso tenuto da Shri Aghoreshwar all’ashram di Paraw durante il periodo di Navaratri.
Rispettate Madri e fratelli, viene da inchinarmi dinanzi a quelli di voi che nel corso di questa ricorrenza che dura nove giorni sono devotamente impegnati in una regolare contemplazione. Abbiamo ascoltato tante storie dai testi sacri, abbiamo preso in esame ogni possibile insegnamento ed abbiamo praticato diverse vie per ricercare Dio. Non sappiamo però quando il muro delle nostre pene verrà smantellato. Ci siamo bagnati in chissà quanti fiumi sacri, ci siamo recati in chissà quanti templi e letto un’infinità di libri che abbiamo sulle mani potuto stendere, e alla fine, nonostante tutto questo, non siamo stati capaci di afferrare alcunché di effettivo.
Ognuno, di fronte alla fede, si inchina e si fa umile. E’ delizioso il frutto che genera quando essa compare. Il frutto della fede può essere poi assaggiato dagli altri. Ma la piacevolezza che in primo luogo dona al suo possessore è inestimabile, è indescrivibile. La vita reale è data dal vivere un’esistenza del genere. Lo sappiamo bene questo, ma andiamo lo stesso allo sbaraglio come degli sventati. Legati alla solida catena delle voglie e dei desideri, stiamo peggio che degli schiavi. Un lavoratore impegnato nel proprio faticoso lavoro è molto meglio di noi. Un lavoratore veramente affaccendato nel proprio lavoro non ha tempo e modo di pensare ad altro. La nostra occupazione è invece quella di disprezzare, criticare e soppesare gli altri ogni attimo. Ci occupiamo di fare questo con insistenza anche se poi la giusta capacità per giudicare gli altri noi non ce l’abbiamo.
Vengo preso da una gioia indefinibile quando vedo che stando serenamente accomodati ad occhi chiusi od aperti voi cercate di tenere sotto controllo o ripulire la mente che si trova nella sfera del cuore. Nel mondo ci sono milioni di persone che non hanno tempo per dedicarsi alle pratiche che per trovare distensione voi fate. Questa gente consuma la propria esistenza arroventata nel rogo dell’agitazione.
Cari fratelli, dovremmo arrivare al punto in cui tutto ciò che ha luogo dentro di noi diventa qualcosa di familiare, è questo ciò che la Dea Madre o quel Grande sconosciuto ci insegnano grazie a questa ricorrenza di nove giorni fatta di rinunce e rituali. Pur essendo ben a conoscenza di ciò che dentro di noi si svolge, facciamo lo stesso finta di niente come se questa fosse una cosa a noi del tutto ignota.
Il modo in cui si sente è fede, il modo in cui si sente è un sacro trattato che contiene delle qualità positive ed è pure l’umanità di una persona. E questa umanità contiene la virtù di saper vedere il divino in tutti. Una persona capace vedere il divino che c’è in tutti è un grande essere. La condotta ed il comportamento di un essere così è di molto aiuto per tutti. Questo tipo di persona è insediata in un mondo completamente a sé stante, dissociato e distaccato da ogni sorta di pena, litigio, invidia, odio ed inimicizia. Questa persona sradica le pene alla radice.
Ognuno sa bene che il “nome” stesso (di Dio) contiene ogni cosa. Noi, malgrado ciò, per il caos prodotto dalla nostra sottomissione, girovaghiamo a destra e a manca sconsideratamente. Racchiusa in noi c’è collera, esitazione e tanti di quei pensieri meschini che ci impediscono di stare in intimità con noi stessi. Quantunque stare raccolti nel nostro intimo sia ciò che noi ci auspichiamo, la nostra sottomissione ai sensi ci impedisce di restare assorti in questa condizione. Invochiamo ripetutamente proprio per questa ragione il nome di quel Grande Sconosciuto e chiediamo soccorso. Il silenzio della nostra contemplazione ci conduce in quel posto (Nel rifugio del Divino) grazie al vento e la luce o addirittura senza alcun mezzo menzionabile.
Fratelli lo sappiamo bene che il leone non vive in un gregge. Il leone si muove dentro la foresta in solitudine. La pecora vive in un gregge. Qualsiasi cosa faccia una pecora o quello che il pastore comanda, viene seguito e imitato dal resto. Trovo gli esseri umani esattamente nella stessa condizione. Imbrigliato alle redini delle voglie incontenibili, l’uomo salticchia qui e là come una scimmietta addomesticata che balla secondo il ritmo che come un suo monarca assoluto il tamburo gli detta.
Fratelli, voi siete uomini contemplativi che si trovano sulle sponde del Gange. Il silenzio della solitudine merita rispetto da parte vostra. Esso è datore di beatitudine divina. Voi vi trovate in un luogo in cui contrasti, rivalità, malevolenza e risentimento sono del tutto assenti. La vostra pratica di solitudine e di silenziosità è qualcosa a cui aspirano i grandi asceti. In simbiosi con questo esercizio di solitudine, voi apparite come sacre icone della fede.
Se acquisite anche un filo di fiducia e di entusiasmo, in voi si manifesta una fede talmente grande che è capace di farvi raggiungere parecchi posti che sono a voi favorevoli. Essa crea la condizione che vi consente di fare la conoscenza di anime giuste e caritatevoli, gente saggia che può essere paragonata a degli elementi decorativi che abbelliscono questa terra. Nel periodo in cui questi esseri santi permangono su questa terra, donano felicità, benestare e prosperità a molti. Essendo costoro delle fonti di qualità positive, alleviano gli esseri umani dal soffocamento delle proprie sofferenze fisiche, divine e materiali. Costoro sono diversi dalla gente che infetta ed avvelena questa terra con le proprie azioni.
La nostra vita sta avanzando speditamente verso l’età avanzata. Noi ne siamo terrorizzati. Malgrado si vedano, si sappiano e comprendano le bassezze di questa vita, noi siamo come il gufo per il quale la luce del sole che c’è durante il giorno risulta inutile. Benché il gufo abbia gli occhi e la luce sia là, lui non vuole vedere. Non è che a noi gli occhi ci manchino; la consapevolezza ce l’abbiamo. Malgrado ciò siamo incapaci di usare adeguatamente la luce ottenuta dal nostro silenzio, quella ottenuta dalla nostra contemplazione, dalla meditazione e quella luce ottenuta dalle nostre preghiere.
La pace non è qualcosa conseguibile soltanto con una parola. Soltanto mettersi a dire “Pace! Pace!” di per sé non produce alcuna distensione ne con essa ha alcun nesso effettivo. Così facendo non si raggiunge uno stato di distensione o di pace. Quando vi appartate e rimanete soli e raccolti in voi stessi, voi siete in grado di provare cosa sia la pace. Vi sentirete bene. Sarete svuotati da tutti quei pensieri che gettano nel caos la vostra mente e che vi conducono verso delle debolezze. Ciò che si intende per penitenza, meditazione e raccoglimento, è questo.
Rimanendo serenamente accomodati in una posizione adeguata, riuscite in questo modo a mantenere la vostra attenzione su tutte quelle cose che hanno luogo dentro di voi. Il giorno in cui afferrerete questo, voi arriverete a capire il mistero di Saptchandi e cioè che anche la mente è una creazione della Madre divina. Se con pensieri velenosi insozzate la vostra mente, essa si deteriora e voi imboccherete una via che vi condurrà verso un’esistenza priva di consistenza. Costretti a vivere una vita inconsistente, tra i vostri coetanei che vivranno lasciando questo mondo un po’ prima o più tardi di voi, voi continuerete a raccogliere lodi fugaci. Di sicuro loro non si metteranno qui a raccontare la vostra storia. Se invece la vostra è una vita esemplare, essa sarà menzionata nelle leggende popolari per i giorni a venire, la gente canterà queste leggende e da queste trarrà ispirazione, come facciamo noi che raccontando ed ascoltando le storie delle vite dei grandi del passato, che non abbiamo mai visto, noi teniamo così a freno la nostra mente inquieta.
Quindi, il proposito di questa celebrazione di nove giorni, così per come io la intendo, non è riunirsi in un posto per chiacchierare. Noi non teniamo la mente occupata con delle maldicenze per mettere al corrente gli altri di qualcosa. Se proprio ci mettiamo a dire qualcosa dalla nostra bocca usciranno belle parole ricolme di affetto. Avremo cura di accomodarci tra della gente per bene e faremo delle riflessioni che sono incentrate sugli insegnamenti e le vite di quegli esseri che si sono elevati. Osserveremo attentamente le attività ed i servigi a cui i devoti di questo luogo si dedicano in modo accorto per non lasciarsi sfuggire la propria fede, intimità e la propria silenziosità. Possano costoro rimanere costantemente assorti nel raggiungimento della propria meta. Questa si chiama meditazione.
Noi discendiamo da saggi e da santi. E’ vergognoso da parte nostra avvalerci di quegli stessi valori a cui ricorre la gente meschina. In questo modo noi verremo valutati come della verdura che nei mercati si trova facilmente a buon mercato. Permarrà nelle nostre esistenze un simile punto di riferimento? Eh si! Dovremmo fare tutto il possibile per diventare una persona di gran pregio, il nostro valore dovrebbe essere immenso, tale e quale a qualcosa il cui pregio è smisurato e che proprio per questo è inestimabile.
Noi dovremmo essere come quella pietra filosofale che non fa distinzione tra la lama di ferro di un macello e la lama di ferro di un luogo di venerazione (trasforma entrambi in oro). Noi dovremmo essere come il santo fiume Gange, che non fa distinzione tra l’acqua pura dell’Himalaya e quella dei canali di scolo e dei ruscelletti, esso è composto da entrambi. Noi usiamo quest’acqua per venerare, con quest’acqua ci laviamo le mani macchiate col sangue dell’innocente.
I nostri valori non sono quelli di coloro che hanno un comportamento malefico. Noi restiamo distaccati dai loro valori. La via dei Sadhu consiste nel conoscere e praticare questo. Uno che capisce questa semplice cosa e la mette in pratica, vive la vita di un asceta. Gli Dei (Brahma, Vishnù e Shiva) sono obbligati a soddisfare i desideri di un simile asceta. Credo che nei vostri testi sacri abbiate letto e avuto modo di asacoltare questo. Ciò avviene e si ripeterà ancora.
Quando comincerete a porvi in quello stato di silenzio, evitando discussioni e rivalità, evitando di criticare gli altri e restando da ciò distolti persino con l’ascolto, voi diventerete come quell’asceta. Io rendo omaggio ad un simile asceta, non soltanto con le mie parole ma anche col mio sentimento. E mi auguro che la vostra massima attenzione sia riposta in ciò che vi siete prefissati di fare. Di fronte a voi si è levato Il sole della vostra fede. Voi non siete come quel gufo che non vuole valersi della luce del sole. Salvo che una disgrazia di quel povero uccello quale altra definizione possiamo dare a tutto ciò.
Io mi inchino ed ossequio quello Sconosciuto insediato dentro voi nella forma della fede, e vi saluto.